La Sindrome del Colon Irritabile è una patologia relativamente recente che dimostra una forte correlazione tra mente e corpo. Spesso molti pazienti giungono in studio solo alla fine di un’interminabile, ma necessaria, serie di accertamenti clinici per sintomi invalidanti legati all’intestino e da una prima anamnesi psicologica si evidenziano livelli elevati di stress, sintomi ansiosi e umore depresso. Nel 50% dei casi la sindrome è di natura funzionale (non presenta cause organiche chiaramente dimostrabili e i risultati dei test diagnostici sono negativi).
Chi ne soffre?
L’IBS è un disturbo molto diffuso, sottovalutato e poco curato. In Italia ne soffre il 10-18% della popolazione generale giovane-adulta, con una prevalenza da 2 a 3 volte maggiore tra le donne.
È presente soprattutto in quella tipologia di persone che lavorano in contesti lavorativi molto stressanti, dove regna la competizione, le persone sono impegnate a far carriera e obbligate a portare risultati raggiungendo standard molto elevati. La sindrome è diffusa soprattutto nel mondo femminile (è per questo che viene considerata una malattia di genere), ma ultimamente sta dilagando anche nel mondo maschile.
Perchè c’è una relazione tra vissuti psicologici e IBS?
L’intestino è considerato, a ragione, il “secondo” cervello del nostro organismo. Da un lato controlla la sua motilità e sensibilità grazie al sofisticato plesso mioenterico che lo avvolge, dall’altro produce enormi quantità di serotonina, neurotrasmettitore sintetizzato anche dai neuroni, che ha molto a che fare con il tono dell’umore, pertanto le cause psicologiche sono spesso preponderanti.
Cause psicologiche
Il modello cognitivo-comportamentale sostiene che i sintomi fisici dell’IBS sono mantenuti dall’interazione di fattori fisiologici, psicologici e sociali.
Tra i fattori psicologici e sociali vi sono:
- il perfezionismo o meglio la difficoltà di conciliare le aspirazioni di autorealizzazione con gli ideali di perfezionismo che il paziente ha interiorizzato (vale sia per gli uomini che per le donne). Questo conflitto tra aspirazioni e standard severi rende le persone costantemente preoccupate di non essere all’altezza e le espone a livelli elevati di stress cronico;
- la difficoltà ad esprimere in modo diretto, esplicito e verbale il proprio disagio psicologico che quindi si riflette sul corpo attraverso sintomi fisici;
- il conflitto del ruolo di genere (soprattutto per le donne): un conflitto nel modo in cui ci si rapporta al mondo, a seconda del proprio genere sessuale. Nella nostra cultura le donne sono esposte a messaggi contraddittori che riguardano il loro ruolo di genere: da una parte viene richiesto loro un comportamento specifico in quanto donne (materno, dipendente, emotivo-affettivo, accudente, compiacente verso gli altri) dall’altra tale comportamento viene svalutato, giudicato come inferiore e soprattutto invalidante poiché non permette alle donne di ottenere una realizzazione personale, specialmente nel campo lavorativo;
- la tendenza ad auto colpevolizzarsi: la tendenza ad assumersi la responsabilità di qualsiasi evento negativo e si traduce in elevati livelli di autocondanna, colpa e senso di scarsa efficacia;
- il Self-silencing scheme è uno schema di comportamento caratterizzato dalla tendenza ad assecondare le esigenze altrui facendo ciò che gli altri si aspettano, negando e svalutando i propri pensieri e bisogni. Nel tentativo di ricevere approvazione e garantirsi relazioni ed affetti, le persone con questo schema mettono la cura dell’altro al primo posto, tralasciando i propri bisogni. Evitano ogni forma di conflitto perchè questo significherebbe perdere la relazione e restare soli. Anche la definizione di sè è mediata dal giudizio altrui tanto da possedere un sé diviso, ovvero conformarsi agli standard sociali pur di ricevere approvazione, anche se i propri bisogni sono opposti.
I pazienti caratterizzati da questo schema non hanno consapevolezza dei propri bisogni emotivi poiché più focalizzati nella cura e nel compiacimento degli altri e tenderanno, perciò, a focalizzarsi prevalentemente sui sintomi fisici.
Altri fattori di rischio più generali sono la presenza di abuso nella storia del paziente ed eventi stressanti.
Aspetti psicologici che mantengono l’IBS
Secondo il modello cognitivo-comportamentale gli episodi di IBS sono deteminati da un’attenzione selettiva sulle sensazioni corporee e una successiva interpretazione catastrofica di queste sensazioni.
Per attenzione selettiva sulle sensazioni corporee si intende il fatto che l’ attenzione del paziente viene catturata e si focalizza sulla pancia tanto che il soggetto si mette “in ascolto” attivo delle sensazioni che provengono da quella parte del corpo.
Questo atteggiamento di ascolto attivo rende particolarmente sensibili a percepire anche il minimo movimento o rumore proveniente dai visceri che, se non si fosse così focalizzati, non si percepirebbe nemmeno.
Una volta percepita una sensazione viscerale il paziente automaticamente la interpreta come legata al suo problema intestinale e comincia a fare pensieri negativi e catastrofici tipo: “mi sto sentendo male”, “dovrò correre al bagno e non farò in tempo” “tutti si accorgeranno dei miei rumori-odori”, “Aiuto, starò male”.
Queste interpretazioni negative non contemplano altre possibilità come il fatto di aver mangiato male, aver dormito poco, di trovarsi in una situazione stressante o essere affaticati dal lavoro e così via…
I pensieri negativi diventano quindi fonte di intensa ansia che, aumenta ulteriormente i sintomi intestinali (per saperne di più clicca ANSIA: COS’É).
Nei pazienti con IBS, questo ulteriore incremento delle sensazioni viscerali generato dall’ansia viene nuovamente interpretato in termini catastrofici (“Devo essere molto malato, devo cercare una soluzione”, “Ha mal di pancia, dovrò correre al bagno”, “Non riuscirò mai a trattenermi”,”Qualcosa deve essere stato trascurato, voglio vedere un altro medico”, “Non riuscirò mai a guarire”).
Si crea in questo modo un circolo vizioso che si auto perpetua e cronicizza i sintomi.
In cosa consiste il trattamento?
Storicamente i trattamenti sono stati di tipo medico e hanno previsto una cura farmacologica unita a una dieta alimentare adeguata.
Oggi tutte le ricerche scientifiche in merito sottolineano la necessità di affiancare un trattamento psicoterapeutico per ottenere: la riduzione dell’intensità e della frequenza dei sintomi sia psicologici sia fisiologici, la riduzione dei dolori addominali, la riduzione del numero di volte in cui il pz deve correre in bagno, il miglioramento della qualità della vita e dello stato d’ansia e di depressione nonché una migliore gestione dello stress.
Il trattamento psicoterapeutico mira a:
- Aiutare il paziente a ri-concettualizzare la sua visione della sindrome IBS passando da una condizione in cui egli si sente in balia della malattia ad una situazione in cui inizia ad imparare che può diventare padrone di se stesso;
- Aiutare il paziente a identificare le relazioni tra pensieri, sentimenti, comportamenti, l’ambiente circostante e i sintomi dell’IBS.
- Renderlo capace di sviluppare e implementare modi sempre più efficaci di reagire all’IBS al fine di migliorare la qualità della vita. tra le altre cose.
Questi obiettivi vengono raggiunti:
- indagando e confutando i pensieri automatici disfunzionali che hanno la funzione di accrescere l’attenzione verso le sensazioni corporee o di interpretarle in maniera catastrofica
- aiutando il paziente a non interpretare ogni sintomo corporeo come se fosse inevitabilmente connesso all’IBS
- interrompendo il circolo vizioso attenzione selettiva -attivazione dei sintomi – ansia
- gestendo l’ansia anticipatoria
Il trattamento comprende inoltre: un programma educativo sull’IBS (educazione alla malattia, educazione sulle condizioni di vita che favoriscono il benessere e l’equilibrio psico fisico, educazione all’alimentazione corretta e sul ciclo sonno-riposo); l’insegnamento di tecniche di rilassamento e di gestione dello stress e dell’ansia; il training di assertività.
Di fondamentale importanza sarà infine la relazione terapeutica ovvero la collaborazione attiva e costante tra terapeuta e paziente nella risoluzione del problema.